Attualità

L'intervista. Zanetti: Renzi non «droghi» il referendum

Eugenio Fatigante giovedì 16 giugno 2016

Chiama il Pd a intervenire sul caso Consob, per 'spingere' di fatto il presidente Vegas verso le dimissioni. Richiama il governo a una «forte operazione-verità» per sgombrare il campo dalle «false illusioni», come quelle in materia di taglio dell’Irpef per il ceto medio: se ne potrà parlare solo per il 2018. Ma soprattutto chiede proprio a Matteo Renzi di «non drogare» la campagna per il referendum di ottobre con una «nuova ridda di promesse oggi insostenibili». Perché «la responsabilità di una classe politica si misura dalla serietà degli impegni che prende. Dar vita a una sorta di populismo di governo, alla lunga è perdente rispetto alla spudoratezza dei facili populismi delle opposizioni ». Enrico Zanetti, viceministro dell’Economia, è abituato a mandare messaggi diretti ai suoi interlocutori.

Partiamo dall’attualità più stretta: la vicenda Consob. L’attacco - suo e di Calenda - non è intempestivo, e per di più 'stimolato' da un programma tv? Premetto che per me Reportè un sintomo, non la causa. Questa risale a un mese fa, quando con una goffa autoassoluzione Vegas disse che i prospetti erano ok, ma al tempo stesso troppo complessi. Il punto da non scordare è che ai piccoli risparmiatori e alle famiglie sono finiti titoli che non dovevano esserci.

Ma nel governo c’è una linea unanime? Padoan ha ricordato che la Consob è un’autorità indipendente. È ovvio che il governo non possa avere una sua opinione collegiale davanti ad Autorità indipendenti e trovo ineccepibile la linea di un ministro tecnico quale Padoan. Però è altrettanto ovvio che sul piano politico non ci si può esimere dall’esprimere un giudizio, anche perché l’infallibilità non è propria delle istituzioni temporali come la Consob. Gli italiani non devono pensare che sia considerata normale una situazione in cui 4 banche devono essere salvate e 2 istituti veneti vedono i loro titoli passare da 60 euro a pochi centesimi, e che ciò possa accadere ancora. Agli italiani dobbiamo delle risposte. Devono sapere che - per quanto possibile - non si ripeterà più, che i controlli saranno rafforzati e che ci sarà il massimo accertamento delle responsabilità.

Ma da parte di chi? La commissione parlamentare d’inchiesta sembra naufragata... Come leader di Scelta civica io insisto sulla commissione. A caldo Renzi aveva avuto reazioni assai più condivisibili. Comprendo che è gravato da responsabilità molto forti, ma su questo fronte deve avere il coraggio di rilanciare, nell’interesse del Paese ad avere una buona politica che non vuole speculare sulle altre istituzioni. Se si va invece a una sfida fra accuse e autoassoluzioni, il confronto è perdente: nel medio periodo, anche la parte di Paese consapevole che questi temi vanno affrontati con serietà non ci capirebbe più niente.

Insiste nel chiedere a Vegas di dimettersi? Bisogna stare molto attenti a non chiedere ai cittadini di dover sopportare uscite inopportune e contraddittorie da parte di chi dovrebbe misurare anche le virgole. Così si fa solo esplodere la rabbia e la negatività dell’opinione pubblica.

E quindi?  Come Sc abbiamo detto che le parole di Vegas meritano una riflessione. Noto che invece per il Ncd di Alfano sembra andare tutto bene. Mi attendo un intervento chiaro anche dal Pd. Comprendo la giusta prudenza per non screditare il sistema istituzionale, ma siamo arrivati a un punto politico. E penso che il primo ad avere un senso delle istituzioni dovrebbe essere il presidente della Consob. 

Capitolo pensioni. Condivide le proposte formulate l’altroieri con i sindacati? Il prestito pensionistico è l’unica modalità per dare risposte nel breve termine a istanze, assolutamente legittime, ma che riguardano una fetta minoritaria del Paese. È impensabile costruire oggi una flessibilità che costi 7- 8 miliardi annui.

Sulle tasse lei è per la conferma della priorità al taglio Ires?  Parto da una premessa: questo governo va in difficoltà se vuole interpretare la politica del 'tutto a tutti', mettendo sul piatto dieci proposte diverse. Fare un brainstorming elettorale permanente non è produttivo: ci perdiamo nel rapporto con quell’elettorato che non vuol sentirsi dire 'viva i sacrifici', ma che esige serietà nell’azione di governo. E cala il nostro tasso di credibilità rispetto alla spudoratezza dei facili populismi.

In concreto cosa si può fare? Renzi ha già fissato un punto fermo sull’Iva, col no all’aumento. Ora bisogna proseguire. L’entità degli interventi che possiamo fare nel 2017, per 3,5 miliardi circa, consente effetti significativi sul fronte dell’Ires societaria, ma non per l’Irpef. Nel 2018 viceversa, quando verranno meno le ingenti somme degli sgravi triennali per le assunzioni, si può puntare al taglio dell’Irpef. Portando l’aliquota media dal 38 al 27%, si avrebbe un risparmio di 1.500 euro l’anno a 40mila euro di reddito, di 2mila a 50mila euro.

Sul fronte referendum lei ha sempre contestato l’eccessiva personalizzazione fatta da Renzi. Sì, e non solo. Consiglio a Renzi di avviare una serena riflessione sulla legge elettorale e di non reinnescare a settembre un processo controproducente. Non si vince con le promesse elettorali, le amministrative lo dimostrano. Meglio dibattere sul merito delle proposte di riforma. Sc mantiene comunque un impegno sincero per il 'Sì'. I cittadini devono sapere che con quel voto orienteranno l’andamento futuro del Paese. Se vincerà il 'Sì', a quel punto cambierà il vento e il risultato certo è che nel 2017 si riaprirà il cantiere delle altre riforme, a partire dalle macro-Regioni che secondo me andrebbero accorpate massimo a 8.

E se vincesse il 'No'? Il referendum non avrà gli effetti di una Brexit. Ma il messaggio per la classe politica sarebbe: «Fate attenzione ad esporvi troppo perché poi vi puniamo e vi affondiamo». Riforme non se ne farebbero più per almeno 10 anni. E resterebbe un’Italia immersa in un eterno limbo.